
In-house vs. Outsourcing Ecommerce: come scegliere la strategia giusta per far crescere il tuo business digitale
In-house vs. Outsourcing Ecommerce – il dubbio amletico di tantissimi brand.
Nel mondo dell’ecommerce, una delle decisioni più strategiche e spesso più complesse per aziende e imprenditori riguarda la gestione dello sviluppo e della manutenzione della piattaforma: affidarsi a un team interno (in-house) oppure esternalizzare il lavoro a partner esterni (outsourcing).
Questa scelta non è mai banale, perché impatta direttamente su tempi di sviluppo, costi, qualità del progetto e, soprattutto, sulla capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato.
Il modello in-house permette all’azienda di avere controllo totale su processi e competenze, costruendo un know-how proprietario che nel lungo termine può diventare un vantaggio competitivo. Tuttavia, richiede investimenti significativi in termini di risorse, formazione e gestione.
Dall’altra parte, l’outsourcing offre flessibilità e accesso immediato a competenze specialistiche, consentendo di scalare rapidamente e ridurre i costi iniziali, ma comporta anche rischi legati alla dipendenza da fornitori esterni e alla perdita di controllo diretto.
Per approfondire i pro e i contro di questa scelta, se sviluppare l’ecommerce in casa oppure se affidare tale sviluppo ad agenzie esterne abbiamo intervistato Laura Cavioni, esperta di strategia e sviluppo ecommerce, oggi IT Operation Analyst in Vivienne Westwood.
Laura Cavioni – IT Business Analyst – Vivienne Westwood
IT Operation Analyst in Vivienne Westwood, Laura Cavioni ha iniziato il suo percorso lavorativo in Vivienne Westwood nel 2011, nel Dipartimento Retail, occupandosi di gestione del DB e dei processi tipici di negozio. Con la crescita del Brand e la diversificazione delle esigenze di Business, ha ampliato le sue conoscenze in materia di BI, PLM, ERP e gestione dei processi aziendali afferenti alla Supply Chain seguendone i progetti di implementazione.
Ha, inoltre, seguito l’evoluzione del Brand Vivienne Westwood occupandosi di volta in volta dell’evoluzione tecnologica dell’azienda in vari ambiti a partire dal canale Retail al B2B per poi approdare 2 anni fa nel processo di internalizzazione del canale eCommerce.
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Quando un brand può sceglie di internalizzare o di esternalizzare il proprio eCommerce? Qual è la scelta giusta?
Una scelta giusta, mi pare banale affermarlo, non esiste.
Esiste di sicuro una scelta che si adatta al periodo storico che sta attraversando un’azienda. C’è un momento per lasciar gestire ad altri e un momento per accogliere il rischio e mettersi in gioco.
Chiaramente entrambi gli scenari hanno dei pro e dei contro: esternalizzare significa fornire ad un soggetto esterno all’azienda una guida in merito a scelte di business e messaggio che il brand vuole trasmettere, ma operativamente lasciar gestire la quotidianità del rapporto diretto con i propri clienti al fornitore di servizi eCommerce.
Va da sé che internalizzare sia esattamente il contrario, cioè farsi carico completamente del rischio di gestione del canale di vendita e di conseguenza dei risultati: quindi se le cose van bene, si continua a lavorare in quella direzione; se ci sono delle criticità, vanno studiati e capiti gli errori fatti o perlomeno quali fattori hanno influito su questo tipo di risultato.
La scelta migliore è quindi quella che storicamente l’azienda riesce ad affrontare in quel momento. Ciò che può aiutare a capire quale possa essere la scelta migliore da intraprendere è sicuramente analizzare in maniera pratica cosa sia un eCommerce e i suoi pilastri.
In-house vs. Outsourcing Ecommerce – quali sono i reparti aziendali coinvolti nella scelta e nello sviluppo?
Le macro aree coinvolte in tal senso saranno soprattutto:
- Finance, la gestione finanziaria
- Logistica e produzione
- Customer Care, la relazione con il cliente finale
- IT, l’infrastruttura tecnologica
- La parte legale che si occuperà di contrattualistica, GDPR, terms and conditions..
- HR, le risorse umane
- Digital Marketing
- Merchandising del sito
- Social Responsibility
Ora, se si parla di internalizzazione o esternalizzazione, capite bene che si possono fare delle scelte:
- Esternalizzazione totale: si traduce in gestione totale da parte di fornitori esterni all’azienda; il rischio è completamente al di fuori, il know how anche; pago delle commissioni per la gestione di un mio canale di vendita.
- Internalizzazione totale: ho in casa oneri e onori di gestione e il rischio dell’andamento di quel canale.
- Vie intermedie: posso decidere di esternalizzare alcuni servizi e non altri (esempio il Customer Care o la logistica).
Tra i benefici dell’esternalizzazione ci sono sicuramente:
- il rischio di gestione delle inefficienze che ricade sul fornitore
- la manutenzione software non a carico del brand
- lo sgravio della gestione dei pagamenti e delle riconciliazioni finanziarie
È chiaro che più si internalizza, più si è padroni di quella parte di business ma maggiore sarà anche l’impatto sulle risorse umane e sul know how aziendale che dovrà crescere per essere all’altezza della situazione.
Maggiore sarà l’internalizzazione, maggiori poi saranno i dati che ho in house e che posso usare con cognizione di causa per agire e fare scelte. Essi saranno poi anche il mezzo per misurare la bontà delle scelte fatte in precedenza.
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In-house vs. Outsourcing Ecommerce – dai programmi di produzione, alla definizione delle priorità delle attività, alle decisioni procedurali alla scelta delle piattaforme e dei fornitori.
Il processo di scouting dei partner che ti dovranno affiancare nel cambiamento non è banale.
Tendenzialmente si ha la propensione a scegliere i top player in qualsiasi ambito. Questa scelta va necessariamente misurata con la forza di spesa che il brand ha e con le necessità a cui si vuole rispondere.
Come dice sempre il nostro Country Manager, Giorgio Ravasio, “è inutile comprare una Ferrari se poi non si ha la patente”. Quindi il primo passo è sicuramente la definizione dell’obiettivo: dove voglio arrivare, in quanto tempo e quali risorse ho a disposizione. Da qui, poi le soluzioni che si possono trovare sono molteplici, sia a livello tecnologico che operativo.
Un altro fattore da valutare è sicuramente la copertura di mercato che voglio raggiungere e che posso gestire. La sostenibilità in termini di gestione è assolutamente un fattore decisivo.
È importantissimo, inoltre, una volta partiti, stabilire dei momenti di revisione e di definizione di fattibilità degli obiettivi a breve e medio termine che ci si era prefissati, perché banalmente le priorità possono cambiare anche sulla base della consapevolezza raggiunta dopo. Per esempio, un anno di go live che è sicuramente maggiore di quella che si aveva in partenza.
Una quota sostanziale nella buona riuscita di progetti in generale, ma soprattutto in quelli che prevendono un cambiamento in termini di gestione e metodo di lavoro, la ha la comunicazione.
Tipicamente il soggetto che la imposta è il project manager, colui che tiene i tempi, delinea le criticità, parla con le persone, smorza i nervosismi e spinge all’azione. È l’occhio oggettivo esterno che legge l’andamento del processo senza essere coinvolto in prima persona sulle singole tematiche, ma è anche colui che tiene il filo di tutto e accompagna ad una gestione autonoma di nuovi progetti. Se non esistesse questo collante, sarebbe veramente difficile portare a termine un cambiamento.
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In-house vs. Outsourcing Ecommerce: sfide, vantaggi, scalabilità, personalizzazioni, servizi end to end, budget, rischi?
La base è sempre la stessa ed è anche il primo grande ostacolo che ci si trova ad affrontare davanti ad un cambiamento: definire il perimetro di azione. Quindi dove voglio arrivare e il perché.
Io metterei il come all’ultimo posto, perché oggi abbiamo la fortuna di poter scegliere tra miriadi di soluzioni altamente customizzabili che ti permettono di raggiungere obiettivi prefissati con il budget a disposizione. L’importante è che non si pensi di fare investimenti one shot, soprattutto in ambito tecnologico. Le cosiddette soluzioni scalabili, sono soluzioni che ti permettono di “partire” con la gestione di un processo a cui posso successivamente legarne altri senza cambiare ciò che ho costruito in precedenza. Di conseguenza è un continuo miglioramento che però richiede investimenti in termini di budget ma anche di expertise.
Un ultimo aspetto sostanziale che definirei come sfida è l’onboarding, e cioè il coinvolgimento delle parti a tutti i livelli: dai directors agli executives. Se tutti sono coinvolti e consapevoli delle finalità a cui tende lo sforzo che si sta facendo, che tipicamente è sommato alle attività quotidiane che già si gestiscono, allora già ci si può assicurare una percentuale di buona riuscita del progetto.
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