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Le insidie dell’ageismo inverso

Ageismo inverso: le sue insidie
di Daniela Jurado, EMEA General Manager VTEX

Era il 20 luglio 1969 quando il mondo intero guardava con il fiato sospeso una delle più grandi conquiste umane di tutti i tempi. Tre minuti prima che il lander lunare raggiungesse per la prima volta nella storia la superficie della Luna, scattarono molti allarmi.

Per un breve periodo, il comando dell’Apollo 11 pensò di interrompere la missione. Dopo tutto, non potevano assicurare la sicurezza degli astronauti. 2,5 miliardi di dollari rischiavano di andare in fumo e ciò che stava accadendo influiva sul morale dell’umanità intera. Accadde però che un ingegnere del software tranquillizzò improvvisamente tutti. Margaret Hamilton, responsabile del codice che controllava il lander lunare, si alzò in piedi e confermò che era tutto a posto. Lei stessa aveva scritto il codice a mano e confidava che gli allarmi fossero solo il risultato di un errore umano. Ciò che è successo dopo è storia, tutti sanno cosa è accaduto. Ma solo pochi hanno appreso, fino ad oggi, che l’intera impresa lunare fu il risultato della fiducia, del talento e del duro lavoro di una donna di 32 anni di una piccola città dell’Indiana.

Margaret con in mano le pile di codice che ha scritto per controllare il modulo lander lunare e salvare la missione Apollo 11 nel luglio 1969.

Quasi 53 anni dopo possiamo dire di essere andati sulla Luna, ma di non aver ancora risolto alcune questioni più terrene. Margaret rappresenta una vera eroina moderna, non solo per le conquiste scientifiche di cui è stata capace, ma anche per aver saputo “navigare” ed emergere in un mondo pieno di uomini di mezza età che hanno tentato costantemente di minare le sue capacità come donna e, soprattutto, come giovane donna. 

A quel tempo, agire in modo discriminatorio in base all’età di qualcuno era già considerata una violazione negli Stati Uniti, ma solo per chi aveva più di 40 anni. Non esistevano in quegli anni leggi sull’ageismo, dedicate cioè a contrastare l’ageismo inverso a scapito di colleghi con età inferiore ai 40 anni. Sì, perché quando si discrimina qualcuno in base ad una presunta mancanza di esperienza dovuta alla giovane età si sta praticando il cosiddetto ageismo inverso.

Un recente studio condotto dall’American Psychological Association ha rivelato che il 60% dei conflitti interni, nelle grandi aziende, sono causati proprio dalla percezione negativa che hanno i lavoratori più anziani nei confronti dei propri colleghi più giovani. L’ageismo inverso può essere dannoso per la salute fisica e mentale dei dipendenti, oltre che per lo stesso avanzamento di carriera. Nel 2019, Glassdoor ha pubblicato un sondaggio sulla diversità e l’inclusione negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia e in Germania, da cui è emerso che i dipendenti più giovani (il 52% nella fascia d’età 18-34) hanno più probabilità rispetto ai colleghi più anziani (il 39% nella fascia 55+) di assistere o subire episodi di ageismo sul posto di lavoro.

L’ageismo inverso è dannoso. Si può esprimere attraverso l’assegnazione di compiti umili, o attraverso allusioni, o commenti apparentemente innocui come “Le ragazze della tua età…”, oppure “Ho 15 anni di esperienza più di te…” e altri del genere. La verità è che non tutti hanno la forza mentale e la perseveranza che aveva Margaret negli anni ’60 per mantenere la concentrazione e non rischiare di cominciare davvero a credere a questa presunta mancanza di esperienza di cui si viene accusati. Ciò non dovrebbe mai accadere in realtà. Non dovrebbe accadere che sul posto di lavoro si crei quello che è un ambiente tossico, che dà per scontata la relazione tra le capacità di qualcuno e la sua età e sminuisce quindi le persone a causa di una data scritta nel certificati di nascita. Ora che accogliamo la Generazione Z a braccia aperte sul posto di lavoro, nelle aziende e in tutti i settori, dovremmo essere ancora più consapevoli degli impatti e delle conseguenze del reverse ageism.

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Il mio consiglio è quello di spostare l’attenzione dall’età, rimuovendola proprio dall’equazione. Questo perché, semplicemente, non ha importanza. È bene concentrarsi sulle competenze soft e hard che fanno di qualcuno un buon professionista. Punto. Se quella persona è stata capace di raggiungere un alto livello nella scala aziendale o ha fornito una performance impeccabile nonostante la sua età, non è così importante. Mi chiedo quante Margaret Hamilton avremmo potuto e potremmo avere, se l’età non rappresentasse un punto di discussione nel mondo aziendale. 

Ma mi piace guardare al futuro. Sei donne, ingegneri, geologi e scienziati, tutti sotto i 30 anni, che fanno parte della Mars Desert Research Station (MDRS), creata nello Utah per promuovere l’ambizioso progetto di andare su Marte entro il 2030, entreranno alla fine di quest’anno nel centro di simulazione, per compiere una missione di due settimane che farà loro vivere un’esperienza in condizioni molto simili a quelle di Marte.

C’è la speranza nella comunità scientifica che la prima persona a mettere piede sulla superficie di Marte possa essere una donna, probabilmente sotto i 30 anni. 

Spero che Margaret possa vederlo con i suoi occhi.

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